Le parole sono finestre (oppure muri)
Marshall B. Rosenberg
01. Connettersi dal cuore superando la comunicazione che allontana
Immaginiamo che dentro ognuno di noi esista una sorgente naturale di benevolenza, un impulso spontaneo a donare e ricevere con gioia, come un fiume che desidera scorrere liberamente. Questo è il punto di partenza del nostro viaggio: la convinzione che la nostra natura più profonda ci spinga a connetterci con gli altri in uno spirito di reciproco arricchimento. Marshall B. Rosenberg chiama questo "slancio del cuore". Eppure, quante volte ci troviamo bloccati, incapaci di far fluire questa energia? Costruiamo muri dove vorremmo aprire finestre, e ci ritroviamo isolati, frustrati e incompresi. Il problema non risiede in una presunta cattiveria innata, ma nel modo in cui abbiamo imparato a comunicare. Il linguaggio che usiamo quotidianamente, spesso senza rendercene conto, può diventare un ostacolo, una sorta di diga che interrompe il flusso della nostra benevolenza. Questa è la "comunicazione che allontana" o, come la definisce l'autore, la "comunicazione che taglia la vita". Una delle forme più comuni di questa comunicazione alienante è il giudizio moralistico. Quante volte ci capita di etichettare qualcuno? "Sei così egoista", "È pigro", "Sono irresponsabili". Queste non sono semplici osservazioni, ma sentenze. Come scriveva il poeta Rumi, "Al di là delle nozioni di bene e male, c'è un campo. È lì che ti troverò". Invece, il nostro linguaggio ci intrappola in un mondo polarizzato di giusto e sbagliato, dove il nostro unico scopo diventa analizzare e classificare i torti altrui. Ma c'è una verità profonda e tragica dietro ogni giudizio: come sottolinea Rosenberg, "la nostra analisi degli altri è infatti l'espressione dei nostri bisogni e sentimenti". Quando diciamo a qualcuno "sei disordinato", in realtà stiamo esprimendo in modo maldestro il nostro bisogno di ordine e armonia. Questa espressione, però, invece di invitare alla comprensione, provoca difesa e resistenza. È come lanciare una pietra aspettandosi di ricevere in cambio un fiore. Un'altra forma insidiosa di giudizio è il fare confronti. È un gioco a cui non si vince mai, un veleno che ci somministriamo da soli per sentirci inadeguati. Dan Greenburg, nel suo "Manuale del perfetto masochista", lo illustra con ironia pungente: confronta le tue misure con quelle di un fotomodello, o i tuoi successi con quelli di Mozart a dodici anni, e vedrai come la gioia di vivere svanisce. Questo continuo paragonarsi agli altri blocca la benevolenza, specialmente quella verso noi stessi. C'è poi la negazione della responsabilità, un modo di parlare che ci fa apparire come vittime passive delle circostanze. Frasi come "Devo farlo" o "Mi fai sentire in colpa" oscurano il fatto che siamo noi a scegliere le nostre azioni e a generare i nostri sentimenti. L'esempio citato nel libro di Adolf Eichmann e del suo "linguaggio burocratico" è agghiacciante: egli si difendeva dicendo di aver agito perché "erano ordini dei superiori", "era la politica dell'organizzazione". Quando non siamo consapevoli di essere responsabili delle nostre azioni, pensieri e sentimenti, diventiamo pericolosi. Sostituire "devo" con "scelgo di... perché voglio..." è un passo rivoluzionario verso la liberazione emotiva. Infine, c'è la tendenza a esprimere i nostri desideri sotto forma di richieste o esigenze. Una richiesta implica una minaccia, seppur velata: se non fai come dico io, sarai colpevole o subirai una punizione. Questo modo di comunicare uccide la spontaneità e la gioia del donare. Nessuno ama agire per paura o per senso di colpa. La vera connessione nasce quando l'altro risponde ai nostri bisogni non perché si sente obbligato, ma perché prova piacere nel contribuire al nostro benessere. Questi modi di comunicare – giudicare, confrontare, negare la responsabilità ed esigere – non sono altro che abitudini apprese, residui di società gerarchiche dove l'obbedienza era più importante dell'autenticità. La buona notizia è che possiamo disimpararle. Possiamo imparare a dirigere la nostra attenzione altrove. La metafora dell'uomo brillo che cerca le chiavi sotto il lampione perché "lì è più illuminato", anche se le ha perse nel vicolo buio, è perfetta. Spesso, con il nostro linguaggio alienante, cerchiamo la connessione nel posto sbagliato, nel mondo dei giudizi e delle colpe. La Comunicazione Nonviolenta ci offre una nuova mappa, una bussola che ci aiuta a focalizzare la nostra attenzione là dove possiamo davvero trovare ciò che cerchiamo: nel mondo dei sentimenti e dei bisogni, nostri e altrui. È un invito a spostare la luce della nostra consapevolezza per riscoprire quel linguaggio del cuore che permette alla nostra naturale benevolenza di tornare a scorrere liberamente, creando ponti di empatia e comprensione.
Citazione capitolo
"La nostra analisi degli altri è infatti l'espressione dei nostri bisogni e sentimenti."
Domande capitolo
I giudizi sono un'espressione 'tragica' perché, invece di comunicare direttamente i nostri bisogni (ad esempio, bisogno di considerazione), li mascheriamo dietro un'etichetta negativa. Questa modalità non solo fallisce nel soddisfare il nostro bisogno, ma provoca anche difensiva e resistenza nell'interlocutore. Di conseguenza, invece di generare empatia e connessione, si crea un muro che allontana e ostacola la collaborazione.
La CNV propone di spostare l'attenzione dall'esterno all'interno, assumendosi la responsabilità dei propri sentimenti. Invece di incolpare l'altro, si riconosce che le nostre emozioni nascono dai nostri bisogni, desideri e valori, che possono essere soddisfatti o insoddisfatti. Questo cambiamento permette di esprimere i propri sentimenti e bisogni in modo chiaro e sincero, aprendo la porta a un dialogo empatico anziché a un ciclo di accuse e difese.
Sintesi capitolo
Dentro di noi scorre un fiume di benevolenza, uno “slancio del cuore” che desidera donare e ricevere con gioia. Spesso, però, costruiamo delle dighe involontarie con il nostro modo di comunicare, bloccando questo flusso. Una di queste dighe è il giudizio: quando etichettiamo qualcuno come "pigro" o "disordinato", non stiamo facendo una semplice osservazione, ma stiamo esprimendo in modo tragico e maldestro i nostri bisogni insoddisfatti. Come sottolinea Rosenberg, "la nostra analisi degli altri è infatti l'espressione dei nostri bisogni e sentimenti". È come lanciare una pietra aspettandosi di ricevere in cambio un fiore. Allo stesso modo, i continui paragoni che ci avvelenano l'anima, o le frasi come "Devo farlo" che negano la nostra responsabilità, ci allontanano dalla connessione. Queste abitudini ci portano a cercare la comprensione nel posto sbagliato, come l'uomo brillo della metafora che cerca le chiavi solo sotto il lampione perché "lì è più illuminato". Stiamo guardando nel mondo dei torti e delle colpe, ignorando il luogo dove la connessione prospera davvero.
Rispondi alle seguenti domande:
Secondo il testo, quando esprimiamo un giudizio moralistico verso qualcuno (es. "Sei così egoista"), cosa stiamo comunicando in modo inefficace e "tragico"?
Un'analisi oggettiva del carattere e dei difetti della persona.
I nostri bisogni e sentimenti non soddisfatti.
Il nostro desiderio di punire l'altro per il suo comportamento.
Qual è il cambiamento linguistico "rivoluzionario" suggerito per superare la "negazione della responsabilità" e riconoscere che siamo noi a scegliere le nostre azioni?
Sostituire "devo fare" con "scelgo di fare... perché voglio...".
Attribuire la colpa delle nostreazioni a fattori esterni come "gli ordini dei superiori".
Chiedere sempre il permesso prima di agire per essere sicuri di non sbagliare.
La metafora dell'uomo che cerca le chiavi sotto il lampione (dove c'è luce) invece che nel vicolo buio (dove le ha perse) illustra un errore comune. Qual è il "posto giusto" in cui la Comunicazione Nonviolenta ci invita a cercare per trovare una vera connessione?
Nel mondo dei giudizi e delle colpe, per stabilire chi ha ragione e chi ha torto.
Nelle regole di una società gerarchica che premia l'obbedienza.
Nel mondo dei sentimenti e dei bisogni, sia nostri che altrui.
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